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Patrocini
Quando abbiamo ragionato insieme su cosa significasse per noi il Pride quest’anno, l’immagine di una casa ci ha aiutato a connettere fra loro rivendicazioni apparentemente distanti, che sentiamo come nostre. Le grafiche esprimono al meglio il concetto di abitare il proprio corpo, lo spazio dell’autodeterminazione che riguarda la corporeità. Ma abitare l’orgoglio significa anche occupare degli spazi fisici nel mondo e lottare affinché quegli spazi siano spazi sicuri. Tuttavia, per moltə di noi proprio le nostre case rappresentano il primo luogo in cui subiamo discriminazioni, e quindi la prima e più violenta oppressione fisica, religiosa ed economica alla nostra libertà di essere e di amare.
Quando ragioniamo di casa, per le soggettività LGBTQIA+ e per tutte le soggettività oppresse, ragioniamo alternativamente di un diritto e della lotta per il raggiungimento di quel diritto: riscrivere la definizione di casa ci aiuta a ridisegnare anche il concetto di famiglia e quello di confine. Pertanto, diventa un obiettivo quello di sceglierci la famiglia che desideriamo e di poter abitare uno spazio che ci dia libertà. Spesso quest’ultimo è un diritto negato: autodeterminarsi significa in primis liberarci dal giogo economico, dal controllo patriarcale delle nostre vite nella materialità dei nostri bisogni. I diritti civili sono anche diritti sociali, le due cose coincidono e non possono essere separate.